Londra guarda alla Colacem tra conti da record e famiglia Colaiacovo spaccata
Da fuori, la sede della Colacem, alla periferia di Gubbio, è una piccola palazzina, elegante esempio di architettura in cemento. Non si direbbe che sia il terzo gruppo italiano del cemento, in procinto di brindare a un anno storico, con numeri mai visti prima. Millesettecento chilometri più a Nord, nei grattacieli della City di Londra, c’è chi da tempo monitora quello che succede dentro gli uffici dell’industria umbra.
Un anno da record
Colacem, fondata 60 anni fa dalla famiglia Colaiacovo, arrivati dall’Abruzzo agli inizi del ‘900 sotto la guida della “matriarca” Carmela, non ha ancora comunicato il bilancio del 2023, e lo farà probabilmente dopo metà maggio, ma secondo indiscrezioni di mercato, i ricavi consolidati sfiorano 1 miliardo di Euro. Sarebbero soprattutto i margini a macinare: la redditività lorda (Mol) è attesa a oltre 200 milioni, il 20% del fatturato, cifre fuori dal mondo nell’industria del cemento, nota per ritorni lillipuziani.
L’Italia del cemento annaspa
Sono numeri che fanno anche a pugni con il paese: negli ultimi anni in Italia volumi di produzione del cemento, sono scesi sotto le 20 milioni di tonnellate; e nel 2020 gli investimenti in costruzioni sono finiti addirittura in negativo del 5%. La valanga di grandi opere previste dal PNRR ridarà ossigeno, e già nel 2023 si sono visti segnali di inversione, ma il mercato domestico rimane ancora debole e sui minimi storici. Un motore importante della Colacem è l’estero, dove il gruppo umbro ha iniziato a diversificare da molti anni: dall’Albania alla Tunisia, ma soprattutto a Santo Domingo. Il paese dei caraibi è una gallina dalle uova d’oro. Non a caso, lo scorso autunno, Colacem ha inaugurato un secondo impianto di produzione nell’isola, costruito a tempo di record grazie alla tecnologia cinese. E se il 2023, in attesa dei dati ufficiali, si preannuncia ottimo, il 2024 sarà anche migliore, con il giro d’affari avviato a superare il miliardo, perché sui conti ci sarà anche il contributo del nuovo cementificio, che entrerà a pieno regime appunto quest’anno.
Una famiglia divisa
Dalle finestre dell’azienda si gode una splendida vista sulla piccola Chiesa della Vittorina, costruita dove, narra la leggenda cristiana, San Francesco ammansì il terribile lupo di Gubbio, chiamandolo “fratello”. Lo stesso spirito francescano, di pace e armonia, non si respira, però, dentro agli uffici della Colacem. Da anni la famiglia è divisa tra i vari rami, quelli dei quattro fratelli fondatori, di cui due scomparsi di recente durante il Covid, tutti riuniti sotto il cappello della società capofila Financo: i dissapori sono culminati, anni fa, anche in una denuncia, per calunnia aggravata, di uno zio e l’arresto di un nipote.
Il ramo del compianto Franco, assieme al figlio Giuseppe, aveva anni fa creato la società cassaforte GOLD, che aveva fatto investimenti alternativi, tra cui una miniera in Honduras che estraeva ferro e oro etico per Cartier; e la piccola telco Go Internet, quotata sull’ex Aim di Borsa. La GOLD, però, è finita in dissesto, sopraffatta da 120 milioni di debiti (più altri 80 milioni di altre attività), con un pesante esposizione di Unicredit. Giuseppe, un passato in MCC e come investitore del fondo Charme della famiglia Montezemolo, è stato costretto a portare i libri in tribunale, perché un PM del Tribunale di Perugia, a sua volta finito sotto indagine, ha impedito che il piano di risanamento di GOLD andasse in porto. Le difficoltà del ramo famigliare, a cascata, si sono riverberate anche sul resto della dinastia, capeggiata dal decano Carlo Colaiacovo e dal nipote Ubaldo, perché dentro alla GOLD c’è una quota del 25% del gruppo Financo (che controlla Colacem). Accanto a lui c’è schierato anche il ramo del 93enne zio Pasquale, il più anziano dei fondatori, anch’esso titolare di un 25%: la gestione tra i 4 rami della famiglia è spaccata in due fazioni, ognuna al 50%.
Il «Cemento Glamour» di Vacchi e Cucinelli
A un certo punto l’altra metà si è fatta avanti per liquidare il ramo più debole, ma l’offerta per la quota sarebbe stata troppo avara. Ecco che, lo scorso Natale, Giuseppe ha tirato fuori il classico coniglio dal cilindro: sono arrivati due “cavalieri bianchi”, l’imprenditore-celebrità Gianluca Vacchi e il Re del Cashmere, l’umbro Brunello Cucinelli, che di recente proprio a Gubbio ha acquisito anche una manifattura sartoriale. La società-veicolo Eques, messo in piedi dal super commercialista bolognese Luca Poggi, ha finanziato la GOLD di Giuseppe, mettendo in sicurezza il concordato e garantendo supporto per il futuro. Si è diffusa la voce, sbagliata, che i due avessero rilevato il 25% della Financo (e dunque, indirettamente, della Colacem).
Battaglia legale
Non è così, ma in ogni caso gli altri due rami della famiglia non hanno gradito l’operazione e l’hanno impugnata: non è valida perché avrebbe violato il diritto di prelazione. Dietro il braccio di ferro nella famiglia ce n’è anche uno legale: sull’arrivo di Vacchi e Cucinelli si fronteggiano anche due tra i più grossi avvocati d’affari milanesi. Giuseppe è assistito da Paolo Montironi, dello studio NCTM, che si è “inventato” la formula dell’Associazione in Partecipazione. Il ramo di Carlo ha invece ingaggiato l’avvocato Giuseppe Lombardi di Bonelli Erede. Intanto, a pochi mesi dal “cemento glamour” di Vacchi e Cucinelli, c’è stato un mini-riassetto di quote in Eques che ha fatto parlare di un disimpegno lampo di Vacchi ma in realtà è solo un travaso di quote tra casseforti. Anzi, proprio l’ingresso dei due nuovi soci a fianco di Giuseppe Colaiacovo, che vengono descritti come intenzionati a dare un supporto di lungo termine, ha convinto Unicredit a eliminare il pegno che da 10 anni aveva sul 25% della Financo in mano alla Gold Holding di Giuseppe.
Cemento osservato speciale
Tutti questi movimenti non sono sfuggiti ai grandi banchieri d’affari che da Canary Wharf monitorano tutta Europa: d’altronde il medesimo Carlo Colaiacovo vanta un rapporto decennale e stretto con Massimo Della Ragione, per tanti anni a capo della sede di Londra di Goldman Sachs, la più grande banca d’affari al mondo. Anche nella banca d’investimento Jp Morgan, il cemento è un osservato speciale: la medesima banca, la cui divisione londinese è guidata da un altro italiano, Alberto Piana, ha un mandato globale per trovare un compratore per Cemex: il colosso messicano, numero uno al mondo nel cemento, ha messo in vendita la sua divisione a Santo Domingo. E’ la stessa “Isola del Tesoro” del gruppo Colacem, che però non potrebbe comprarsi la rivale, per motivi di Antitrust. I dossier, dunque, si sovrappongono e alimentano interesse. Già circa venti anni fa, le banche d’affari avevano bussato alla porta della Colacem per proporre la quotazione in Borsa del gruppo. All’epoca, la famiglia Colaiacovo declinò l’offerta. Ma chissà che oggi, sulla spinta di numeri da favola, il progetto non venga ritirato fuori dai cassetti e che la famiglia stavolta non lo veda con un occhio diverso: sarebbe un modo indolore, e generoso, per risolvere il passaggio generazionale.
Cedole&Cda
Le pur rosee previsioni per il 2024 nascondono anche altre nubi: a fine anno, a quanto si apprende, scadono anche i consigli di amministrazione di Colacem e Financo, rinnovati per dodici mesi lo scorso dicembre, incluso l’80enne Carlo, il patriarca che da decenni guida l’azienda e l’ha fatta grande. Altri due rami della famiglia, però, invocano un ricambio generazionale. Ulteriore elemento di divisione è la politica dei dividendi: la cassaforte Financo non distribuisce cedole dal 2014, tranne lo scorso quando Colacem ha pagato un dividendo di 22 milioni di Euro alla holding che sua volta ha staccato un assegno da 4 milioni alla famiglia. Il ramo di Giuseppe sospetta che il digiuno sia fatto apposta per impedirgli di incassare liquidità che servirebbe a risanare la GOLD. L’altro ramo spiega l’assenza di cedole con la necessità di patrimonializzare azienda in vista dei costi della “transizione verde” che, in un’industria “hard to abate” come il cemento, saranno enormi (oltre 1 miliardo all’anno per il settore, secondo KPMG).
La Colacem, colosso internazionale del cemento nella piccola Gubbio, ha davanti a sé un bivio: diventare l’ennesimo caso di capitalismo familiare lacerato dai conflitti e rischiare di finire preda della multinazionale straniera di turno, come successo alla Indesit della vicina Fabriano, dove la famiglia Merloni è implosa e l’azienda è finita agli americani che hanno portato via dalla città il quartier generale. Oppure, può/ trovare un accordo che garantisca la proprietà, la successione e anche il futuro della città, che vive dei posti di lavoro creati dalla famiglia Colaiacovo.
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