I grattacapi tropicali di Pignataro sull’isola (esentasse) che lega Londra, Milano e Trump
A fine Dicembre di due anni fa, nell’albergo Mandarin Oriental di Canouan, piccola isola del Mar dei Caraibi, si festeggiava il Natale, come in tanti altri alberghi in giro per il mondo. La differenza è che il paradiso tropicale delle isole Grenadine è un posto per Paperoni veri (gente da Davos e oltre, non banali ricchi). Il lussuoso hotel aveva come ospiti il “commendatore” dell’allora Regina Elisabetta II Christian Horner, ex pilota, attuale capo (team principal) della scuderia Red Bull e la sua ancor più famosa moglie, Geri Haliwell, la “rossa” delle cantanti Spice Girls. Il Mandarin è al centro di un complesso di 20 ville da favola: l’hotel fa anche da ristorante e punto di appoggio per i tanti vip proprietari dei pregevoli immobili, che mica si mettono a cucinare o fare il bucato quando vanno in vacanza ai tropici. Tra gli happy few di Canouan c’è anche la famiglia De Longhi, i veneti a capo dell’impero dei piccoli elettrodomestici. Ville e albergo fanno capo alla società CRD, la Canouan Resorts Development: il complesso fu costruito addirittura da Donald Trump, reduce dalla valanga di voti dell’Iowa che lo rilanciano verso la Casa Bianca quest’anno, con idea di vendere le ville e gestire poi tutti i servizi per i ricconi: bar, ristoranti, pulizie, manutenzione. Poi il futuro presidente degli Stati Uniti vendette il complesso al magnate Dermot Desmond, uno degli uomini più ricchi di Irlanda.
Do Not Disturb, Please
Una di quelle sere sotto le feste di Natale, nel ristorante-discoteca la musica si ferma e le luci si spengono. L’imbarazzato direttore dell’albergo si scusa e dà la colpa a un improvviso blocco di elettricità: in realtà non c’era nessun black-out. Andrea Pignataro, il finanziere italiano con uffici a Londra, e allora reduce dalla scalata al colosso Cerved, chiedeva silenzio. Non gli si poteva dire di no: è il paròn del complesso CRD, nonché proprietario di 2 ville sempre sull’isola. Il resort extra-lusso è uno dei tanti beni laterali del finanziere italiano, più famoso per il suo impero di banche dati e informatica, la ION: Canouan l’ha comprata da Desmond medesimo.
Tra Pignataro e i suoi co-inquilini Vip non corrono rapporti idilliaci: i fortunati proprietari delle case vacanze da favola pagano ogni anno 170mila dollari di “quota di iscrizione” alla CRD. I consumi extra, come le cene e le serate al Mandarin, non sono inclusi. Il prezzo non è economico, ma il problema è che lamentano servizi carenti. Ci sono anche tensioni con il primo ministro dell’arcipelago delle Grenadine che accusa mancati introiti fiscali: le società satellite della CRD, che incassano le generose quote dai proprietari delle ville, più tutti i servizi extra, non sono domiciliate lì, ma in Irlanda: non pagano tasse al governo locale eppure godono delle spiagge e delle bellezze paesaggistiche locali. Per sopire il malcontento, Pignataro ha regalato una scuola agli abitanti dell’isola, ma anche lì sono sorte polemiche.
Carte in Tribunale
L’ultima rogna legale di Pignataro sulla “sua” isola è successa la scorsa estate e ha visto l’elusivo, e ambizioso, finanziere subire una sconfitta in Tribunale, nella remota località. La vicenda è da lite condominiale ma rischia di gettare un’ombra (non sarebbe la prima) sul misterioso magnate nato e cresciuto a Bologna. Il signor Angel Buenano e la sua famiglia accusano Pignataro di impedire l’accesso alla spiaggia, di poter usare la loro proprietà, di fare intimidazione verso di loro e addirittura di farli pedinare. Il proprietario della villa sostiene di aver investito 250mila dollari per comprare 1 azione della società immobiliare di Pignataro, negoziando con Ashley Woods, ma che il titolo non è mai stato emesso. Dal canto suo Pignataro sostiene che non esiste nessun credito, che non esiste nessuna azione e che Woods in ogni caso non aveva potere a negoziare un accordo. Il nome dell’intermediario non è secondario: era il braccio destro di Pignataro, ma ora non c’è più e non può nemmeno dare la sua versione. Per ora il giudice della Suprema Corte dei Caraibi Orientali ha emesso un’ingiunzione temporanea contro Pignataro, dando ragione al cittadino locale. Altri round legali sono attesi.
Un impero di dati (ma anche di debiti)
I malumori di Canouan sono liquidati solo come gossip da giornali per l’uomo d’affari italiano, che vorrebbe si parlasse soltanto della sua figura industriale. Industria che ha un indirizzo ben preciso: al numero 10 di Queen Street, a Londra, sul ponte di Southwark lungo il Tamigi, nella zona della City, c’è la sede del suo gruppo: ION Investments. Nello stesso palazzo, c’è anche il quartier generale di Acuris, la conglomerata editoriale creata da Pignataro: un polo dell’informazione per i professionisti, che spazia da Mergermarket a Debtwire, notiziari “cult” su abbonamento; fino a Dealogic, fornitore di informazioni per banche e investitori. Negli anni, Pignataro ha costruito un impero su banche dati, data analytics e piattaforme finanziarie, tanto da essersi meritato il soprannome di “Michael Bloomberg italiano”. In realtà è anche molto di più: 40 banche centrali al mondo usano i software del gruppo ION. E tutti i più grandi colossi mondiali, da Microsoft in giù, sono suoi clienti. Per decenni è rimasto nell’ombra: poi l’anno scorso ha concesso la sua prima intervista, al Sole 24 Ore: ha dimostrato una visione della società, dell’economia e dell’industria senza pari, ma ha anche glissato sui debiti del suo gruppo.
Dopo le recenti conquiste di Cedacri e Cerved, Pignataro è diventato anche il più grande investitore privato in Italia: ha speso 6 miliardi di euro nel paese. L’ultima preda è stata Prelios, acquisizione da oltre 1 miliardo. Nessuno come lui, salvo i grandi colossi stranieri del private equity come KKR, che si è appena presa la rete telefonica nazionale della ex Sip (oggi TIM), e Blackstone, azionista delle Autostrade. Ora, però, questo grande colosso dei dati si affacciano delle nubi: troppi debiti a monte della lunga e complessa catena di controllo; e qualche tirata d’orecchi da parte delle agenzie di rating.
Una crescita (troppo?) tumultuosa
In pochi anni, Pignataro, ex trader di obbligazioni della banca d’affari americana Salomon Brothers (poi fusa dentro Citigroup) è diventato un magnate della tecnologia, con il pallino di banche dati e informatica. Nel 1999 lascia il suo posto in banca a Londra e fonda appunto la ION Investments. Nella capitale inglese ha una casa nella zona super-esclusiva di Belgravia, ma si divide tra New York e Milano, dove ha la famiglia. Sul Tamigi ci vive poco e quando lo fa, si guarda bene dal frequentare gli italiani: nessuno, nella business community tricolore, lo ha mai incontrato o lo conosce. Su di lui si sa pochissimo, fino all’anno scorso non circolavano foto, e lavora con pochi fidatissimi consulenti (meno di 10). I pochi dati che filtrano dai suoi uffici raccontano di oltre 30 aziende acquisite in circa 20 anni, e di un gruppo che oggi conta 7500 dipendenti. I suoi asset pubblici valgono circa 20 miliardi di dollari. Lui paragona la sua ION ai grandi colossi mondiali delle informazioni finanziarie e piattaforme informatiche, come Lseg, la Borsa di Londra, e Standard&Poors.
Pignataro è il nuovo Re Mida della finanza italiana: chi ha lavorato con lui lo descrive come uno stakanovista che lavora indefesso tutto il giorno (una volta invitò amici in barca e poi se ne stette tutto il giorno in coperta davanti al computer), geniale e intelligente, ma dal carattere rude. La sua campagna acquisti è impressionante per numeri, ma è anche puntellata di debiti, pesanti tagli e tante uscite: quando comprò la londinese Fidessa, per esempio, oltre agli esuberi dichiarati, altre 400 persone lasciarono l’azienda perché, si dice, scontenti. La capitale britannica, peraltro, non è l’indirizzo finale dell’immensa galassia di società di Pignataro dove si contano oltre 200 aziende: la ION Capital Markets UK, cuore londinese della immensa ragnatela, rimanda a una capogruppo in Irlanda, il paradiso fiscale legale dentro la Ue, paese natale di Dermot. Il cuore di Pignataro è l’anglosfera, con una particolare predilezione, negli ultimi tempi, verso il suo paese natale, dove il ha messo a segno due grosse operazioni: la Cassa di Risparmio di Volterra, piccolo banca di provincia ma pur sempre una banca, ossia un centro di potere; e poi la mega scalata a Prelios, colosso immobiliare e dei crediti deteriorati. Di fronte a questi numeri e a queste altitudini, le beghe di Canouan sono robetta. Eppure anche i tropici sono a loro modo strategici nella galassia di Pignataro, per tessere relazioni e rapporti. Dopo il Natale con Geri Haliwell, a Canouan c’è stato il Natale con Fabrizio Palenzona, il presidente di Prelios (secondo il sito di indiscrezioni Dagospia).
La lente del Governo Meloni
Proprio dopo l’affondo sul grande gruppo italiano, sull’impero di Pignataro si starebbe interrogando non solo il mercato, ma anche il Governo Meloni. Palazzo Chigi ha prima sondato l’idea del Golden Power, essendo Prelios un’azienda strategica per il paese. Ha deciso di non usarlo, ma ha imposto un ulteriore esame della scalata di Pignataro. E a ragione: degli 1,3 miliardi che ION sborserà, 600 milioni sono debito. Quello di Pignataro è un impero sì, ma quasi tutto con soldi presi in prestito. Sull’intera conglomerata ION si stima graverebbero debiti per 9 miliardi di dollari, da dati non ufficiali: oltre 4 volte il margine operativo (salito a 2 miliardi nel 2022, ultimo dato disponibile). Secondo Bloomberg, che ha scoperto altri 3 miliardi di debiti “nascosti”, l’esposizione totale sarebbe attorno ai 15 miliardi di dollari. E’ una leva alta, sostenibile solo se indebitarsi costa poco, come è stato fino al 2022. Oggi, invece, il debito spaventa. E’ anche vero che il gruppo è una cash cow, una mucca da latte (di liquidità): sempre al 2022 dichiarava 1,5 miliardi di flussi di cassa. Ma quella liquidità non pare vada a ripagare i debiti: per esempio Moody’s in passato ha rimproverato a Pignataro di usare la cassa per pagarsi dividendi invece che ridurre la zavorra finanziaria. Nell’autunno nel 2021 l’agenzia di rating più temibile al mondo ha bocciato la Ion Trading, il veicolo che controlla Fidessa, spedendo il suo debito ancor più giù nella scala dei rating, nella “spazzatura” (junk) perché la holding ha preferito distribuire lauti dividendi: dal 2017 al 2021, 195 milioni di euro sono usciti dal gruppo, e, rimprovera l’agenzia, sono andati a Pignataro e al fondo Carlyle, invece di ripagare i prestiti delle banche.
Una parte del debito del gruppo, oltre 3 miliardi, sono due mega prestiti bancari, da un miliardo e mezzo ciascuno, di tipo senior, che scadono nel 2028. C’è anche un “Pignataro Bond” sul mercato: un prestito obbligazionario della ION Technology da 450 milioni di dollari, lanciato lo scorso ottobre. Piccola curiosità: all’epoca il costo del denaro era a zero, ma per finanziarsi Pignataro ha dovuto pagare al mercato un tasso del 5,75%: decisamente high yield, ad alto rendimento perché evidentemente il mercato fiuta anche un alto rischio. Nel 2019 la medesima Moody’s aveva affibbiato al bond un rating B3, solo un gradino sopra la C, che è l’anticamera del default. Dalla sua, Pignataro ha però un vantaggio: tutto questo debito che grava sulla sua testa non deve essere rimborsato a breve, ma in media tra quattro anni, con punte di sette. C’è tutto il tempo per una ristrutturazione o rinegoziare. Sta di fatto però che, con il denaro a prestito tornato a costare e previsto in rialzo nei prossimi anni, quello di Pignataro pare un impero dalle fondamenta improvvisamente più deboli.
L’Uomo di Fiducia
Se Pignataro è riuscito a costruire un gruppo ciclopico in così poco tempo è stato grazie a un fidato braccio destro che, come tutti gli uomini di fiducia, vive nell’ombra: Ashley Woods, il medesimo che avrebbe firmato la cessione di quote del resort di Canouan al signor Buenano. Woods è un avvocato australiano: per anni è stato il regista dietro le quinte, nella scalata di Pignataro. All’improvviso, però, ad agosto del 2021, Woods ha divorziato: in piena estate si è dimesso da tutte gli incarichi nel gruppo ION. Da LinkedIn si apprende che ora lavora per una società che si chiama Pollination e si occupa di Transizione Energetica. Nessuno sa spiegare la fuga precipitosa dell’architetto dell’impero ION. Il suo posto, intanto, sembra essere stato preso da Luca Peyrano, nome molto noto in Italia: storico dirigente di Borsa Italiana, Peyrano per anni è stato il capo del mercato primario (ossia le quotazioni di aziende), nonché il padre di Elite, programma finanziario di successo dedicato alle Pmi. Oggi è il general manager di ION Analytics, la divisione di “financial intelligence” del gruppo, consigliere di Cerved, e amministratore unico di Castor, il veicolo che ha scalato la banca dati italiana; siede anche in Cedacri.
Tanta voglia di Illimity (ma anche no)
Pignataro continua a comprare senza sosta (ultimamente ha anche messo un piede in MS), ma vengono a galla anche passi falsi. Per esempio, il caso di Illimity, la prima banca fintech d’Italia. Dicono che Corrado Passera, ex numero di Banca Intesa ed ex Ministro dell’Industria con il Governo Monti, sia rimasto incantato dalla visione strategica e dalle capacità imprenditoriali di Pignataro, tanto da offrirgli l’ingresso nella sua banca digitale.
Tra grandi fanfare, nel 2021, venne annunciato che il super finanziere avrebbe comprato il 10% di Illimity: prima rileva il 7% investendo quasi 60 milioni di Euro. E poi si impegna a comprare un altro 3% tramite dei Warrant, con i quali avrebbe potuto comprare (tra marzo e luglio 2022) altre 2 milioni di azioni Illimity, al prezzo di 12,5 euro, e arrivare così alla soglia prefissata, sborsando altri 25 milioni. Dietro all’accordo azionario, ce n’era anche uno commerciale: ION avrebbe venduto servizi tecnologici a Ilimity. Ma qualcosa non è andato secondo i piani: la finestra temporale è scaduta senza che Pignataro abbia esercitato i Warrant. “Perché comprare a un prezzo più alto quando posso comprare le medesime azioni al prezzo più basso, in Borsa” ha risposto a un giornalista che lo intervistava: vero, nel 2022, Illimity quotava meno del prezzo dei Warrant, ma emerge un atteggiamento molto spregiudicato e c’è una grossa differenza per la banca. I Warrant avrebbero patrimonializzato Illimity mentre comprare sul mercato è solo un passaggio di mano di azioni già esistenti, non nuovo capitale. Alla fine Pignataro è salito al 9% ma comprando sul mercato, risparmiando milioni e lasciando Passera col cerino in mano. Non è forse un caso che a inizio anno la banca abbia chiuso l’accordo di fornitura con ION, peraltro perdendoci dei soldi. Illimity non è il solo caso in cui Pignataro non ha rispettato gli accordi: la scorsa estate la società di New York S3 Partners, fornitore di dati istantanei per hedge fund, ha fatto causa a Fidessa-Ion Trading per mancato impegno. Pignataro avrebbe dovuto investire 6,5 milioni di dollari nella S3 e non l’ha fatto.
Genio o Sregolatezza?
In pochi anni, il 50enne emiliano ha creato una multinazionale con sangue italiano, una delle poche che il paese può vantare, senza un euro di aiuti pubblici. Lo ha fatto con una fulminante corsa, troppo veloce per alcuni, e tutta a debito. Alla fine, Pignataro rimane diviso tra l’immagine di una mente superiore e quella del raider spericolato. Un Dr. Jekyll e Mr. Hide, per rimanere in tema londinese.
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