Da Genova a Londra: i Porti Verdi rilanciano l’Italia (ma nessuno ne parla)

Condividi l'articolo

Da Genova a Londra, la nuova Via della Seta per l’Italia non è in Cina ma in Gran Bretagna. E da lì, verso il Nord America. La grande, e irripetibile, occasione di rilancio per l’Italia passa dai porti. Sembrerebbe una banalità, per un paese che ha 7.500 chilometri di coste e dunque una naturale e geografica vocazione ai traffici via mare. Ma così non è. 

Italia tagliata fuori dalle rotte marittime

Da decenni, le merci in arrivo dal Medio Oriente o dall’Asia, i nuovi poli produttivi mondiali, hanno seguìto una rotta inefficiente: dal canale di Suez fino a Gibilterra, attraversando tutto il Mediterraneo; e superate le Colonne d’Ercole, verso i grandi porti del Nord Europa, Rotterdam e Amburgo. Da lì, poi, via gomma, giù verso il Centro e il Sud Europa. Significa milioni di tonnellate di Co2 in più per fare un inutile girotondo del Vecchio Continente.

Gli scali marittimi sono oggi al centro della transizione energetica ed ecologica dell’Italia, ma se ne parla poco e gli si dedica poca attenzione: è una nuova versione del Passaggio a Nord-Ovest, declinato nel settore dei cargo e delle merci. Per spiegarne la portata, ma soprattutto le prospettive, è volato fino a Londra pure il Vice Ministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi. Il politico genovese ha partecipato all’IMO, l’associazione marittima mondiale, di cui l’Italia, peraltro quest’anno con record di voti dal 1948, è un grosso finanziatore, con il 2% del bilancio. E poi, in un convegno all’ambasciata d’Italia, organizzato da Intergroup, azienda logistica anglo-italiana, ha incontrato la comunità economica italiana e internazionale. 

Porti Verdi e geo-economia

Altro che auto elettrica, colonnine o aeroporti. La vera rivoluzione delle infrastrutture, in Italia, devono essere i porti (assieme all’Alta Velocità Ferroviaria). Per 3 millenni, dalla Magna Grecia fino al Rinascimento, l’Italia è stata il fulcro dell’economia globale: la geografia l’ha posta al centro del Mediterraneo (che letteralmente significante mare tra le terre), ma con la scoperta dell’America, il baricentro mondiale si è spostato, marginalizzando l’Italia fino a ieri. Oggi, però, l’oriente del mondo produce merci per l’Europa ed essere al centro del Mediterraneo è di nuovo importante, dal punto di vista geografico e strategico. 

Il pendolo della geo-economica è però tornato a oscillare e l’Italia può recuperare quel ruolo centrale perso. Trieste, simbolo del declino del Mediterraneo, ha già suonato la riscossa. La città porto del defunto Impero Austro-Ungarico, tanto amata da James Joyce, sta riprendendo un ruolo centrale: le merci arrivano via nave nel nord dell’Adriatico e da lì vanno verso la Mitteleuropa: molta meno strada che fare il giro del Golfo di Biscaglia. Anche l’ambiente ringrazia, a proposito di sostenibilità.

Il porto di Amburgo (credito: iStock)

L’asse Genova-Londra

Lo snodo cruciale per le merci in Italia sarà Genova, oggi marginale. Dopo la tragedia del Ponte Morandi, oggi la città è in pieno boom di infrastrutture: oltre al nuovo ponte e al progetto della Gronda, è già in costruzione la diga foranea che amplierà la capacità ricettiva del porto. Lo scalo, da solo, però non basta se poi alle spalle non c’è un’infrastruttura per trasportare velocemente, e a basso impatto ambientale, le merci. Viene in soccorso il Terzo Valico, anch’esso in costruzione, che collegherà Genova e Milano con la TAV.

In una visione a 10 anni, la città italiana avrà un porto di dimensioni globali e una ferrovia veloce collegata al nord Europa (tramite la futura linea veloce Torino-Lione e quella del Brennero). Sarà un’ottimo candidata per diventare il centro dei traffici cargo in arrivo dall’Oceano Indiano, via Egitto. Ecco che allora, in questa visione, Genova e Londra diventato vicine e due potenziali porti collegati. “Ci interessa molto il Regno Unito – ha spiegato il Vice Ministro – perché nonostante la Brexit è un paese del G7 con cui è fondamentale, per l’Italia, condividere lo spazio marittimo e commerciale”. Peraltro anche al di qua della Manica, l’Italia è avvantaggiata: “Trenitalia ha investimenti importanti sulla Tav inglese (la futura linea HS2 da Londra a Birmingham)” ha ricordato Rixi, vagheggiando un grande accordo mercantile tra l’Italia e il Regno Unito.

Pnrr e Transizione Ecologica

A cascata, i soldi del Pnrr (in totale oltre 9 miliardi di euro), andranno a modernizzare i porti (e Genova farà la parte del leone con oltre 600 milioni). Tra le innovazioni spicca la de-carbonizzazione delle banchine dei porti. Le navi che oggi attacca sono una grossa fonte di inquinamento: bruciano gasolio mentre stanno ferme. Il futuro sarà “verde”: le banchine saranno convertite con prese elettriche a cui le navi attaccheranno la presa per alimentarsi: il progetto si chiama “Cold Ironing” ed è un ulteriore passo verso la riduzione della Co2. 

Navi da crociera attraccate al porto di Civitavecchia

Nel mondo dei “Porti Verdi”, non è tuttavia tutto cosi fiabesco. Ce ne vuole di elettricità per alimentare le navi attraccate ai moli, specie se sono ciclopiche navi da crociera. E’ il caso di Civitavecchia, o della Sardegna. “Se tutti questi giganti dovessero attaccarsi alla rete elettrica del porto, d’estate ogni giorno la città andrebbe in black-put” osserva con una nota polemica Pino Musolino, presidente dell’Autorità Portuale del Tirreno settentrionale (una delle più dinamiche quanto a investimenti). Il porto del Lazio serve di fatto come scalo marittimo di Roma: oltre alle merci, l’altra grande gamba commerciale dei porti in Italia è il turismo.

La strada (obbligata) dell’eolico in mare

Come e dove trovare i megawatt che servono per alimentare a elettricità i porti e spegnere i motori a gasolio? La risposta la offre Intergroup, classica multinazionale tascabile, nata a Gaeta ma passaporto inglese. L’amministratore delegato Pietro Di Sarno propone parchi eolici al largo delle coste: enormi torri galleggianti che producono elettricità pulita dal vento e possono soddisfare il futuro fabbisogno dei porti. C’è proprio l’esempio della Gran Bretagna, che disseminato di pale eoliche il Mare del Nord. In realtà, quel mare è tecnicamente facile perché ha bassi fondali, non ha coste popolate, né vocazione turistica o paesaggistica. Tuttavia, se l’Italia vuole davvero tornare a essere al centro dei traffici globali, grosso volano economico, e allo stesso tempo farlo in modo sostenibile, le grandi pale in mare aperto sono un passo obbligato. E i parchi eolici hanno bisogno di grossi finanziamenti: musica per le orecchie della City di Londra, polmone finanziario d’Europa.

ambasciata d'italia, Civitavecchia, Cold Ironing, Diga Foranea, Edoardo Rixi, Genova, Infrastrutture, Intergroup, Pietro Di Sarno, Pino Musolino, PNRR, Terzo Valico, Trieste

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

© Copyright 2021 Piccadillyduomo.com | Web Agency