Dublino “riscopre” Lavinia Fontana, ma eccede nel revisionismo da Quote Rosa

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Dublino è una delle città straniere da sempre preferite dagli italiani: la storia e la cultura irlandese piacciono molto al di sotto delle Alpi. Lo dimostrano le migliaia di Irish Pub, i pub irlandesi, da Aosta a Palermo, con l’immancabile spillatore di birra Guinness: sono forse il format di locale più imitato in Italia. Sarà la medesima fede cattolica, sarà una storia simile (entrambi poveri paesi di emigrazione che hanno poi trovato il benessere) o forse il fascino eterno dei Celti e il mistero dei Druidi.  

Una recente mostra, alla National Gallery of Ireland, il museo nazionale della pittura, ha rinsaldato ancora di più i già forti legami tra i due paesi. Il museo di Dublino (Gailearai Naisiunta hEIREANN, in gaelico, la lingua dei celti, per i puristi) non può oggettivamente competere con la National Gallery di Londra, ma gli irlandesi hanno fatto le cose per bene. Tra gli eventi culturali di punta del 2023, c’è stata una rassegna dedicata a Lavinia Fontana, nome praticamente ignoto in Italia. L’unico Fontana che gli italiani (non tutti) conoscono nell’arte è il moderno Lucio che tagliava le tele. Quest’altra Fontana, invece, è una figura tanto dimenticata quanto pioniera e rivoluzionaria. 

L’Emilia al tempo dell’Italia dei Papi

Bisogna tornare indietro nel tempo nell’Italia dei Papi e in quel di Imola, città di confine contesa per secoli da Bologna la Dotta, anti-clericale, e dallo Stato della Chiesa, di cui era la propaggine estrema e più lontana (e dunque più debole). 

In questo clima, Lavinia, nata nel 1552, sette anni dopo il Concilio di Trento, è una donna auto-didatta che arriva al successo commerciale nella pittura, diventando la prima artista imprenditrice della storia. Ce n’è abbastanza da essere una notizia anche per una donna d’oggi. Se poi tutto questo succede nell’Italia cattolica e arretrata del ‘600, dove la Controriforma impediva una modernizzazione e dove le donne erano relegate solo al ruolo di dame di una corte reale o suore in un convento, ecco che la signora Fontana diventa un potente simbolo moderno, troppo ghiotto per non essere sfruttato dal museo in scia alla moda delle “Quote Rosa”. 

La mostra, che si è chiusa a fine agosto ed è stata sponsorizzata da Bank of America, ha un enorme merito, quello di riscoprire, o meglio far scoprire, un’artista sconosciuta in Italia. E di riportare alla luce pure una figura antesignana e all’avanguardia, nella società e nell’arte. L’allestimento è stato notevole: molti dipinti, distribuiti in 6 stanze, tutto con uno sfondo pastello arancione. Molti i prestiti da musei importanti come il Met di New York fino agli Uffizi di Firenze.  

Una mistica esagerata

Tuttavia, la mistica di questa femminista ante-litteram, che ha preceduto di secoli l’inglese Emily Pankhurst, risulta però un po’ troppo esagerata, forse più per seguire il marketing e le mode del momento. 

La storia della signora è affascinante, ma molto del suo successo fu costruito dall’abilità del padre Prospero: era a sua volta un pittore e costrui’ a tavolino la carriera della figlia, insegnandole il mestiere e introducendola nella sua rete di contatti e committenti dell’Emilia. Sempre il padre le organizzò un matrimonio combinato con Gian Paolo Zappi, nobile di secondo rango, che però acconsenti’ a che la moglie non fosse lasciata in casa, come succedeva  a tutte le donne dell’epoca, ma che potesse continuare a fare la pittrice e pure a usare il nome da nubile nei suoi quadri.  

Il vero genio? Il padre, non la figlia

Tale padre, tale figlia: Lavinia fiuta l’aria e capisce che sul mercato è la ritrattistica che tira. Si costruisce una fama nel dipingere ricchi borghesi e le loro famiglie. Una certa foga nell’inseguire la corrente commerciale del momento, però, la fa perdere di vista l’arte. La pittura di Lavinia Fontana è scolastica, la sua tecnica è mediocre. Tutti i suo ritratti hanno lo stesso identica schema: un abbozzo di prospettiva, sempre posizionata sulla destra del quadro. Guardando i suoi quadri, si ha la netta sensazione  di essere di fronte a una bottega commerciale, di seconda fascia, che sforna quadri in serie, come una catena di montaggio. Sarà pure stata una pioniera, ma è una “pioniera da McDonald”, nel senso di standardizzazione e qualità medio-bassa. Nel dipinto “Le  Nozze di Cana”, tema classico dell’inconografia cristiana, la prospettiva è addirittura sbagliata. Nel “Gran Ritratto di Famiglia”, commissionato dai Gozzadini, i 5 membri sono dipinti in abiti curatissimi, il panneggio mostra un alto grado di dettaglio. Ma anche in questo dipinto, considerato uno dei suoi capolavori, non si va oltre il manierismo.

Un giorno al museo

L’altro grande merito della mostra è di aver attirato l’attenzione sul museo in sé: l’edificio che ospita il museo, inaugurato nel 1854 in uno storico palazzo, è notevole dal punto di vista architettonico. Nel 2002 è stata aperta la Millennium Wing che ha affiancato una parte moderna alla parte antica, in un connubio molto affascinante. Nel 2017, dopo molti anni di lavori, un ulteriore rifacimento ha aperto un nuovo ingresso su Merrion Square. Merita da solo, un viaggio a Dublino non foss’altro che per vedere lo stupendo Ecce Homo di Tiziano e il ritratto di Clarice Orsini, la moglie di Lorenzo il Magnifico (e madre del Papa Leone X), fatto dal Ghirlandaio. E ci sono anche altre imminenti occasioni per pianificare una visita al museo: dal 7 Ottobre, e fino a Gennaio 2024, sarà aperta al pubblico la più grande retrospettiva su Sir John Lavery, massimo pittore irlandese dell’epoca moderna.

Bank of America, Dublino, irlanda, Lavinia Fontana, National Gallery of Ireland

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